L'artista che "ridusse al moderno" la pittura
Giotto è considerato l'artista che ha rinnovato la pittura italiana, così come Dante, suo contemporaneo, è ritenuto il 'padre' della lingua italiana. La gloria di Giotto è affidata a opere sparse in quasi tutta la penisola, da Roma a Firenze, da Assisi a Rimini fino a Padova; la sua importanza fu tale da influenzare non solo le scuole pittoriche del Trecento, ma anche gli artisti del Rinascimento
Il mitico esordio
Le notizie sulla giovinezza e la formazione di Giotto sono molto poche, sappiamo che nacque da una famiglia di contadini, nel 1267 circa, a Colle di Vespignano, presumibilmente ove ha sede l'attuale museo Casa di Giotto. La leggenda più nota fiorita intorno a Giotto di Bondone è quella che narra il suo incontro con l'artista Cenni di Pepo, detto Cimabue. Quest'ultimo avrebbe osservato il giovane pastore Giotto mentre disegnava su una roccia una pecorella del suo gregge con tanta abilità da convincerlo a portare il giovane nella sua bottega. E' famoso il ponte alla Ragnaia detto anche ponte di Cimabue in memoria di detto ipotetico incontro. Così Cimabue sarebbe divenuto il primo maestro di Giotto. È probabile che il giovane artista abbia compiuto anche un viaggio a Roma; qui ebbe sicuramente modo di vedere i cicli pittorici della Roma antica e paleocristiana e le opere dei più importanti pittori romani della fine del Duecento.
A partire dagli anni Novanta del 13° secolo, con probabilità dal 1296, Giotto venne chiamato a realizzare l'opera destinata a dargli fama eterna: gli affreschi della basilica superiore di Assisi con le Storie di san Francesco. Il ciclo pittorico, che già destava meraviglia nei fedeli dell'epoca, è diviso in 28 riquadri, che descrivono la vita di Francesco d'Assisi dalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi ufficiali a quelli cari alla leggenda popolare.
Gli ultimi affreschi del ciclo non vennero però portati a termine da Giotto ma dai suoi collaboratori, perché l'artista fu chiamato dal papa a lavorare a Roma per il giubileo del 1300. Giotto era ormai un pittore di grande importanza.
L'attribuzione del ciclo di Assisi a Giotto è stata più volte messa in discussione per le differenze stilistiche rilevate con la successiva attività del maestro a Padova. Tuttavia, l'evidente diversità di stile tra Assisi e Padova può essere giustificata con una maturazione del grande pittore avvenuta successivamente all'esperienza romana del 1300.
Perché Giotto è il padre della pittura italiana
Per cogliere la portata rivoluzionaria di Giotto, si può partire da quello che di lui scrive con entusiasmo Cennino Cennini, pittore e scrittore d'arte vissuto tra 14°e 15° secolo: "Giotto rimutò l'arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno".
Con queste precise parole Cennini vuole dire che l'artista toscano nella sua pittura abbandona le immagini fisse, gli ori abbondanti e le astrazioni dell'arte bizantina (l'aggettivo greco si riferisce al mondo bizantino), recuperando il contatto con la realtà e la natura. Giotto costruisce innanzitutto lo spazio del racconto pittorico in maniera illusionistica e tridimensionale, impostandolo con una rigorosa prospettiva delle architetture, come ben si vede nell'episodio del Presepe di Greccio del ciclo di Assisi; in questa spazialità i personaggi si inseriscono con equilibrio e in coerente rapporto con l'ambiente che li circonda.
Proprio nelle figure Giotto presenta una delle sue novità più importanti: i personaggi non sono più i 'burattini' immateriali e le figure piatte della tradizione precedente, ma persone concrete, reali, come si vede dalle pieghe morbide e naturali degli abiti sotto cui si trovano i corpi saldamente esistenti.
Il pittore del quotidiano
Quando Cennini afferma che Giotto "ridusse al moderno" la pittura intende dire che il pittore riesce a trovare un contatto con la società contemporanea, con i suoi usi e costumi.
Illuminante in tal senso l'episodio dell'Omaggio dell'uomo semplice, in cui un uomo, certo della grandezza di Francesco, gli stende ai piedi il suo mantello. La scena si svolge infatti lungo una via che gli spettatori potevano facilmente riconoscere come una strada reale di Assisi, tra il Palazzo comunale e il Tempio di Minerva; inoltre la presenza di personaggi in abito da borghese dell'epoca che commentano il fatto poteva favorire l'identificazione dello spettatore nella storia, annullando le distanze tra la pittura e il mondo reale con il suo pubblico. Interessante anche la scena con la Rinuncia agli averi, in cui è raffigurata l'ira di Bernardone, padre di Francesco, alla vista della stravagante decisione del figlio di restituire tutte le sue ricchezze e scegliere la povertà; qui i contemporanei di Giotto, oltre ad apprezzare la verosimile posa di Bernardone e lo straordinario studio anatomico del corpo del santo, potevano riconoscere la piazza del Vescovado, realmente esistente ad Assisi.
Dopo aver soggiornato a Roma, Giotto viene chiamato a Padova per realizzare tra il 1303 e il 1305 la cappella privata del ricco Enrico degli Scrovegni. Questi era figlio di uno degli usurai più tristemente noti di Padova, come ci racconta anche Dante nell'Inferno, ed è probabile che abbia voluto erigere l'oratorio religioso per espiare i peccati familiari.
Giotto affresca le pareti con Storie della Vergine, Storie di Cristo, figurazione di Vizi e virtù nel basamento e un grandioso Giudizio finale in controfacciata, dove compare anche il ritratto dello Scrovegni.
Qui l'artista raggiunge la sua piena maturità: nella naturalezza e nella ricerca espressiva dei protagonisti, nella ricchezza dei colori, nella capacità di costruzione architettonica e prospettica dello spazio. Straordinaria, per esempio, la realistica drammaticità e la forte intensità del Compianto sul Cristo morto, in particolare per l'abbraccio carico d'amore materno che la Madonna riserva al figlio; altrettanto intensa è la Cattura di Cristo, in cui tutta la composizione si incentra sull'incrociarsi e il differenziarsi degli sguardi tra Gesù e Giuda nel momento del tradimento: fermo e sereno quello di Cristo, vile e incerto quello del traditore.
Emblema delle capacità raggiunte da Giotto sono i cosiddetti coretti, due piccole cappellette vuote, con finestrelle da cui si vede il cielo, dipinte sulla parete: si tratta di un capolavoro assoluto di prospettiva e illusionismo, che anticipa indubbiamente la pittura rinascimentale.
L'allievo supera il maestro: Giotto e Cimabue a confronto
Giotto nella sua carriera si è confrontato anche con i soggetti tradizionali della pittura del Duecento, come la Crocifissione e la Madonna in trono (la cosiddetta Maestà), dandoci la possibilità di stabilire un confronto con il suo maestro Cimabue.
Nel Crocifisso realizzato intorno al 1300 per la Chiesa fiorentina di S. Maria Novella Giotto supera del tutto quei legami ancora esistenti tra Cimabue e la pittura bizantina; il Cristo giottesco infatti, abbandonando la linea che ancora costruiva la figura di Cimabue, realizza un'immagine più umana e realistica; inoltre dispone la figura sulla croce con maggiore rispetto delle leggi anatomiche.
Anche nella Vergine col Bambino in trono, dipinta verso il 1310 per la Chiesa d'Ognissanti a Firenze e oggi conservata agli Uffizi, Giotto, pur attenendosi all'immagine tradizionale, la rinnova profondamente; l'artista tralascia l'atteggiamento solenne e distaccato e la stilizzazione lineare che avevano caratterizzato in passato questo tipo di raffigurazione e conferisce alla Vergine e al Bambino una maggiore solidità di forma e un senso tutto nuovo di umana partecipazione alle vicende del mondo.
Giotto su e giù per l'Italia
Riconosciuto come grande artista già dai suoi contemporanei, Giotto lavorò per le più importanti città italiane. Oltre ad Assisi, Roma, Padova e Firenze, egli fu attivo a Rimini nei primissimi anni del Trecento ‒ dove realizzò un Crocifisso ‒, favorendo così la nascita di una scuola pittorica giottesca. Dopo essere tornato ad Assisi per affrescare nella chiesa inferiore la Cappella della Maddalena, Giotto lavorò soprattutto a Firenze, dipingendo nella Chiesa di Santa Croce Storie di san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista per la Cappella Peruzzi (1315-20) e di nuovo Storie di san Francesco d'Assisi per la Cappella Bardi (1320-25).
Ormai all'apice della sua fama Giotto fu conteso dai grandi committenti del suo tempo: tra il 1330 e il '33 fu a Napoli chiamato da Roberto d'Angiò e tra il 1335 e il '36 a Milano presso Azzone Visconti per affrescarne il palazzo.
Giotto oltre che alla pittura, ai colori ed al disegno, si interessava di Medicina, dato che verso i sessant'anni, nel 1327 s'iscrive all'Arte dei Medici e degli Speziali.
L'ultima opera superstite della grande attività dell'artista riguarda però l'architettura: nel 1334 infatti la Repubblica fiorentina gli aveva conferito la carica di capomastro dell'Opera del Duomo; Giotto progettò così uno degli edifici più cari ai fiorentini, il celebre campanile del Duomo, di cui gettò le fondamenta e diresse personalmente i lavori fino al primo ordine dei rilievi. Non riuscì a finire perché morì l'8 gennaio 1337 a Firenze. Forse fu a causa della morte del pittore, che il Campanile non venne elevato fino a mt. 110, come dal disegno di Giotto, ma solo 85 mt., e che ci vollero altri ventidue anni per completarlo.
Morì a Firenze nel 1337.
Giotto e il Mugello
Vicchio ha celebrato il suo famoso artista dedicandogli una statua in Piazza Giotto.
E' documentato che nel 1287 Giotto si sposò con Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale ebbe cinque figli: quattro femmine e un maschio.
Sui primordiali possedimenti della famiglia di Bondone di Angiolino nei dintorni di Vicchio, il parroco e storico don Remo Collini ne aveva individuata la localizzazione sul Colle di Romagnano, nel popolo di San Cassiano in Padule (già San Pietro in Padule), poco distante da Vespignano, allora riferimento amministrativo e toponomastico di quella zona. Ed è proprio in quella parrocchia che, ancora secondo il parere di don Collini ripreso da altri storici, Giotto è stato battezzato. Peraltro Colle è citato, fin dal 1249, in documenti notarili afferenti le proprietà di Angiolino di Peruzzo, nonno di Giotto. Numerosi e incontrovertibili sono gli indizi che legano Giotto e, fatto non meno rilevante, i suoi familiari al Mugello : in quella terra egli acquista case e terreni; lì vivevano i suoi figli e tre delle quattro figlie si maritarono con abitanti del luogo; il figlio Francesco è menzionato nel 1329 come priore della Chiesa di San Martino a Vespignano; nel luglio del 1337 , a pochi mesi dalla morte del pittore, la vedova Ciuta di Lapo si trasferisce in Mugello.
L’unico dipinto rimasto in Mugello del grande maestro di Vicchio di Mugello è la Madonna con bambino, una piccola tavola collocata nella navata destra della Pieve di Borgo san Lorenzo. Si tratta di un reperto di soli 81,5 cm x 41 cm, mostra la Vergine Maria rivestita di uno splendido manto blu mentre sostiene il Bambino Gesù. Del bambino purtroppo restano solamente le sue piccole braccia protese ad afferrare l’indice della Madre ed a accarezzarne il volto con tenerezza. Questo frammento faceva parte in origine di una Maestà di maggiori dimensioni. E' stata sottoposta a ripulitura e restauro che ha portato alla luce una straordinaria qualità pittorica, un capolavoro di Giotto. Pur nelle ridotte dimensioni appare la plasticità solenne della posa della Vergine col volto non reclinato. La Madonna è viva, pronta a sorreggere e a mostrarci il Figlio, facendoci partecipi della manifestazione sacra. La rappresentazione delle vesti della Madonna avviene tramite una modulazione chiaroscurale. Le lumeggiature dorate proprie dell’arte bizantina con l’utilizzo di un’unica fonte di luce sono qui assenti. La ricerca di tridimensionalità e d’intensità affettuosa mai vista prima, sono tutti chiari indizi della nuova rivoluzione giottesca. Tale nuova concezione da lì a breve avrebbe influenzato gran parte della pittura occidentale.